Descrizione
LA STORIA
Le miniere di Brosso sono conosciute da tempo remoto per l’abbondanza e la grande varietà dei loro minerali, dei quali esistono campioni in tutte le collezioni e musei del Mondo .
L’inizio della coltivazione di queste miniere si fa risalire al tempo prima dei Salassi e poi dei Romani, che pare praticassero la metallurgia del piombo e dell’argento a partire dalla galena argentifera.
Ai tempi della Repubblica Romana lo sfruttamento delle miniere spettava al proprietario della superficie del suolo, in quanto era ignorata la proprietà sotterranea; sotto la legislazione imperiale, prevalse il diritto imperiale per il quale l’imperatore dava o toglieva la facoltà di coltivare le miniere.
Questo diritto si consolidò nel Medioevo ed i conti di San Martino di Castellamonte, signori di Brosso, lo esercitarono sin dall’ XI secolo.
Le miniere rimasero feudo di questa famiglia fin quasi alla fine del XIV secolo.
Le prime notizie certe dell’esistenza di attività estrattive nell’area brossese, si trovano in un documento del 5 gennaio 1244 riportato dal Bertolotti ne: “Gli Statuti Minerari della Val di Brosso”. Oggi, recenti scoperte testimoniano la lavorazione del ferro estratto dalle miniere di Brosso già in epoca longobarda.
Gli abitanti della Val di Brosso non tolleravano, oltre alla tirannia, anche il diritto di sfruttamento che i conti di San Martino esercitavano sull’unica fonte di reddito che la natura aveva loro riservato. Tant’è che fin dal 1262, tra mediazioni richieste e guerre, cercarono sempre di svincolarsi dai gravosi tributi che dovevano pagare ai signori di Brosso.
La rivolta dei Tuchini del 1386 diede un grande scossone al dominio feudale nel Canavese. Questa ribellione popolare, inserita nel ciclo più generale delle guerre e rivolte italiane ed europee del XIV secolo, ebbe inizio a Brosso e rappresentò per la Valle un punto di taglio con la fase storica precedente. I nobili canavesani, salassati dalla lunga guerra che li divise in Guelfi e Ghibellini, dinanzi alla sommossa popolare si diedero in spontanea dedizione ad Amedeo VI di Savoia. Si arriva al 17 gennaio 1448 quando il conte di Savoia stipulò la concessione per mezzo della quale, la coltivazione delle miniere di ferro della Valle di Brosso veniva dichiarata e stabilita libera da ogni tributo ed ogni altro peso, riservandosi i diritti per i minerali d’oro e d’argento.
Il I gennaio 1497, con atto pubblico, gli uomini di Brosso diedero forma ai primi statuti che dovevano regolare i lavori minerari, il taglio dei boschi, i pascoli e l’amministrazione della Confraternita di Santo Spirito, patronato che assisteva i poveri e le famiglie dei lavoratori infortunati con i proventi ricavati dall’auto-tassazione dei lavoratori stessi; si stabilirono cosi gli obblighi ed i diritti, nonché i tempi di lavoro e di sfruttamento che sia i proprietari dei terreni sia gli artigiani dovevano rispettare.
Prese vita, si sviluppò e si consolidò tra il XV ed il XVII secolo un sistema di economia autarchica atta a tutelare e favorire il ruolo dell'intera comunità all’interno di un quadro di cooperazione.
Questi statuti furono più volte rivisti ed aggiornati fino al 25 gennaio 1561, anno in cui il duca Emanuele Filiberto sancì il principio del “Diritto classico romano”, che consisteva nel riconoscere al proprietario del suolo anche la proprietà del sottosuolo e di qualsiasi minerale in esso contenuto.
Tale facoltà fu in vigore fino al 1840, epoca in cui Carlo Alberto, con l’editto del 30 giugno, sancì il principio opposto (questo editto fa tradotto in legge nel 1859 ed è tuttora vigente sul territorio nazionale) che limitava la proprietà del suolo alla sola superficie.
Le miniere di Brosso sono conosciute da tempo remoto per l’abbondanza e la grande varietà dei loro minerali, dei quali esistono campioni in tutte le collezioni e musei del Mondo .
L’inizio della coltivazione di queste miniere si fa risalire al tempo prima dei Salassi e poi dei Romani, che pare praticassero la metallurgia del piombo e dell’argento a partire dalla galena argentifera.
Ai tempi della Repubblica Romana lo sfruttamento delle miniere spettava al proprietario della superficie del suolo, in quanto era ignorata la proprietà sotterranea; sotto la legislazione imperiale, prevalse il diritto imperiale per il quale l’imperatore dava o toglieva la facoltà di coltivare le miniere.
Questo diritto si consolidò nel Medioevo ed i conti di San Martino di Castellamonte, signori di Brosso, lo esercitarono sin dall’ XI secolo.
Le miniere rimasero feudo di questa famiglia fin quasi alla fine del XIV secolo.
Le prime notizie certe dell’esistenza di attività estrattive nell’area brossese, si trovano in un documento del 5 gennaio 1244 riportato dal Bertolotti ne: “Gli Statuti Minerari della Val di Brosso”. Oggi, recenti scoperte testimoniano la lavorazione del ferro estratto dalle miniere di Brosso già in epoca longobarda.
Gli abitanti della Val di Brosso non tolleravano, oltre alla tirannia, anche il diritto di sfruttamento che i conti di San Martino esercitavano sull’unica fonte di reddito che la natura aveva loro riservato. Tant’è che fin dal 1262, tra mediazioni richieste e guerre, cercarono sempre di svincolarsi dai gravosi tributi che dovevano pagare ai signori di Brosso.
La rivolta dei Tuchini del 1386 diede un grande scossone al dominio feudale nel Canavese. Questa ribellione popolare, inserita nel ciclo più generale delle guerre e rivolte italiane ed europee del XIV secolo, ebbe inizio a Brosso e rappresentò per la Valle un punto di taglio con la fase storica precedente. I nobili canavesani, salassati dalla lunga guerra che li divise in Guelfi e Ghibellini, dinanzi alla sommossa popolare si diedero in spontanea dedizione ad Amedeo VI di Savoia. Si arriva al 17 gennaio 1448 quando il conte di Savoia stipulò la concessione per mezzo della quale, la coltivazione delle miniere di ferro della Valle di Brosso veniva dichiarata e stabilita libera da ogni tributo ed ogni altro peso, riservandosi i diritti per i minerali d’oro e d’argento.
Il I gennaio 1497, con atto pubblico, gli uomini di Brosso diedero forma ai primi statuti che dovevano regolare i lavori minerari, il taglio dei boschi, i pascoli e l’amministrazione della Confraternita di Santo Spirito, patronato che assisteva i poveri e le famiglie dei lavoratori infortunati con i proventi ricavati dall’auto-tassazione dei lavoratori stessi; si stabilirono cosi gli obblighi ed i diritti, nonché i tempi di lavoro e di sfruttamento che sia i proprietari dei terreni sia gli artigiani dovevano rispettare.
Prese vita, si sviluppò e si consolidò tra il XV ed il XVII secolo un sistema di economia autarchica atta a tutelare e favorire il ruolo dell'intera comunità all’interno di un quadro di cooperazione.
Questi statuti furono più volte rivisti ed aggiornati fino al 25 gennaio 1561, anno in cui il duca Emanuele Filiberto sancì il principio del “Diritto classico romano”, che consisteva nel riconoscere al proprietario del suolo anche la proprietà del sottosuolo e di qualsiasi minerale in esso contenuto.
Tale facoltà fu in vigore fino al 1840, epoca in cui Carlo Alberto, con l’editto del 30 giugno, sancì il principio opposto (questo editto fa tradotto in legge nel 1859 ed è tuttora vigente sul territorio nazionale) che limitava la proprietà del suolo alla sola superficie.
Le miniere rimasero attive fino al 1964 quando la società Montecatini cessò l'attività estrattiva non ritenendola più redditizia.
Mappa
Indirizzo: Via Roma, 34, 10080 Brosso TO
Coordinate: 45°29'43''N 7°48'10''E
Indicazioni stradali (Apre il link in una nuova scheda)
Modalità di accesso
Il percorso ha inizio dopo la Chiesa di San Rocco, proseguendo lungo il sentiero "Strada delle Vote". Il sentiero ha un livello di difficoltà T2, con un dislivello di circa 500 metri. Il tempo di percorrenza è di circa 2 ore.
Il percorso è acciottolato e di media difficoltà. Lungo il percorso vi sono barriere architettoniche.
Coordinate geografiche: 45.4994° 7.8139°
Coordinate geografiche: 45.4994° 7.8139°